Incipit di Attentato di Amélie Nothomb
(Voland edizioni, 1997)

La prima volta che mi sono guardato allo specchio, mi è venuto da ridere: non credevo di essere io. Adesso, quando vedo il mio riflesso, rido: so che sono io. Tanta bruttezza ha qualcosa di buffo. Il mio soprannome è arrivato molto presto. Dovevo avere sei anni quando un ragazzino mi gridò, in cortile: "Quasimodo!". Pazzi di gioia, i bambini ripresero in coro: "Quasimodo! Quasimodo!".

Eppure nessuno di loro aveva mai sentito parlare di Victor Hugo. Ma il nome Quasimodo era così azzeccato che bastava sentirlo per capire.

Non sono mai più stato chiamato in altro modo.

 

Nessuno dovrebbe essere autorizzato a parlare della bellezza, solo i mostri. Sono l’essere umano più brutto che ho mai incontrato: ritengo dunque di avere questo diritto. È un tale privilegio che non rimpiango il mio destino.

E poi c’è una voluttà a essere mostruosi. Per esempio nessuno prova più piacere di me a passeggiare per strada: scruto il volto dei passanti alla ricerca dell’istante magico in cui entrerò nel loro raggio visivo: adoro le loro reazioni, adoro quello che distoglie lo sguardo per il fastidio, adoro la fascinazione infantile di chi non riesce a staccarmi gli occhi di dosso.

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