Incipit di Ritorno a Pompei di Amélie Nothomb
(Voland edizioni, 1999)

- Rifletta: a chi torna utile il misfatto? Seppellire Pompei sotto le ceneri del Vesuvio, nel 79 dopo Cristo, è stato il regalo più bello che gli archeologi potessero mai ricevere. Chi ha fatto il colpo, a suo parere?

- Niente male, come sofisma.

- E se non lo fosse?

- Cosa intende dire?

- Non le è mai sembrato strano? C’erano migliaia di città da distruggere. Guarda caso è stata quella più raffinata, la più sontuosa, a farne le spese.

- È una fatalità frequente. Quando una biblioteca va a fuoco, non è la biblioteca comunale di quartiere, è la biblioteca di Alessandria. Quando due ragazze, una bella e l’altra brutta, attraversano la strada, secondo lei quale finisce sotto la macchina?

- Non ha afferrato. Se si trattasse di distruzione pura e semplice, si potrebbe invocare la fatalità. Ma in questo caso si tratta di fortuna!

- Già. È chiaro che lei non era tra gli sventurati che sono periti nell’eruzione.

- Non erano sventurati. Erano i ricchi del tempo.

- Come no! E adesso mi verrà a dire: ‘Beati loro!’

- Non è questo il punto. Quello che cerco di spiegarle è che se agli archeologi fosse stato chiesto quale città avrebbero voluto preservare dai guasti del tempo, avrebbero scelto Pompei.

- E allora? Pensa che il vulcano abbia domandato il parere degli archeologi moderni?

- Il vulcano, no.

- Chi, allora?

- Cosa vuole che ne sappia? Dico soltanto che è un’enormità. Non può essere un caso.

- Qual è la sua idea? Che gli archeologi moderni abbiano ordinato l’eruzione? Non li sapevo in rapporti così amichevoli con Efesto.

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