Incipit di Stupore e Tremori di Amélie Nothomb
(Voland edizioni, 2000)

Il signor Haneda era il capo del signor Omochi, che era il capo del signor Saito, che era il capo della signorina Mori, che era il mio capo. E io non ero il capo di nessuno.

Si potrebbe dire diversamente. Io ero agli ordini della signorina Mori, che era agli ordini del signor Saito, e così di seguito, con la precisazione che gli ordini verso il basso potevano saltare i gradini della scala gerarchica.

Per cui, alla Yumimoto, io ero agli ordini di tutti.

 

L’8 gennaio 1990, l’ascensore mi sputò all’ultimo piano dell’edificio Yumimoto. La finestra in fondo all’atrio mi risucchiò come fosse l’oblò infranto di un aereo. Lontano, molto lontano, c’era la città - tanto lontana che mi sembrava di non averci mai messo piede.

Non pensai neanche che avrei dovuto presentarmi in segreteria. A dire la verità, per la testa non mi passava nessun pensiero, nient’altro che l’attrazione per il vuoto, per quella vetrata.

Finalmente una voce rauca pronunciò il mio nome, alle mie spalle. Mi girai. Un uomo sulla cinquantina, piccolo, magro e brutto, mi guardava con aria seccata.

- Perché non ha avvertito la segretaria del suo arrivo? - mi chiese.

Non trovai niente da rispondere e non risposi niente. Abbassai testa e spalle constatando che, in una decina di minuti, senza avere neppure aperto bocca, avevo già fatto una cattiva impressione, e proprio il giorno della mia entrata alla Yumimoto.

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